Udienza di Papa Leone XIV ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)
Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Leone XIV ha ricevuto in Udienza i Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Cari fratelli e sorelle,
sono davvero molto contento di incontrarvi. Quest’Aula, che sta tra la Basilica e la Piazza, è carica delle emozioni che hanno accompagnato i recenti avvenimenti. Infatti il Papa deve attraversarla per affacciarsi alla Loggia centrale. L’amato Papa Francesco l’ha fatto per il suo ultimo Messaggio pasquale Urbi et Orbi, che è stato il suo estremo, intenso appello alla pace per tutti i popoli. E anch’io, la sera dell’elezione, ho voluto riecheggiare l’annuncio del Signore Risorto: “La pace sia con voi!” (cfr Lc 24,36; Gv 20,19).
Vi ringrazio per la vostra preghiera e per quella delle vostre comunità: ne ho tanto bisogno! Sono grato in particolare al Cardinale Zuppi, anche per le parole che mi ha indirizzato. Saluto i tre Vicepresidenti, il Segretario Generale e ciascuno di voi. La storia della Chiesa in Italia evidenzia il particolare legame che vi unisce al Papa e che – secondo lo Statuto della CEI – «qualifica in maniera peculiare la comunione della Conferenza con il Romano Pontefice» (Art. 4 § 2). Seguendo l’esempio dei miei predecessori, anch’io avverto la rilevanza di questo rapporto “comune e particolare”, come lo definì San Paolo VI intervenendo alla prima Assemblea Generale della CEI (cfr Discorso, 23 giugno 1966).
Nell’esercitare il mio ministero insieme con voi, cari fratelli, vorrei ispirarmi ai principi della collegialità, che sono stati elaborati dal Concilio Vaticano II. In particolare, la Costituzione Lumen gentium sottolinea che il Signore Gesù costituì gli Apostoli «a modo di collegio o ceto stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro» (n. 19). È in questo modo che siete chiamati a vivere il vostro ministero: collegialità tra voi e collegialità con il successore di Pietro.
Questo principio di comunione si riflette anche in una sana cooperazione con le Autorità civili. La CEI è infatti luogo di confronto e di sintesi del pensiero dei Vescovi circa le tematiche più rilevanti per il bene comune. Essa, all’occorrenza, orienta e coordina i rapporti dei singoli Vescovi e delle Conferenze episcopali regionali con tali Autorità a livello locale.
Papa Benedetto XVI, nel 2006, descrisse la Chiesa in Italia come «una realtà molto viva, […] che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione» e dove «le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti» (Discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale, 19 ottobre 2006). Ciò nonostante, la Comunità cristiana di questo Paese si trova da tempo a dover affrontare nuove sfide, legate al secolarismo, a una certa disaffezione nei confronti della fede e alla crisi demografica. In questo contesto – osservava Papa Francesco – «ci è chiesta audacia per evitare di abituarci a situazioni che tanto sono radicate da sembrare normali o insormontabili. La profezia – diceva – non esige strappi, ma scelte coraggiose, che sono proprie di una vera comunità ecclesiale: portano a lasciarsi “disturbare” dagli eventi e dalle persone e a calarsi nelle situazioni umane, animati dallo spirito risanante delle Beatitudini” (Discorso in apertura della 70ª Assemblea Generale della CEI, 22 maggio 2017).
In virtù del legame privilegiato tra il Papa e i Vescovi italiani, desidero indicare alcune attenzioni pastorali che il Signore pone davanti al nostro cammino e che richiedono riflessione, azione concreta e testimonianza evangelica.
Innanzitutto, è necessario uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede. Si tratta di porre Gesù Cristo al centro e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo. In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma. Questo è il primo grande impegno che motiva tutti gli altri: portare Cristo “nelle vene” dell’umanità (cfr Cost. ap. Humanae salutis, 3), rinnovando e condividendo la missione apostolica: «Ciò che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,3). E si tratta di discernere i modi in cui far giungere a tutti la Buona Notizia, con azioni pastorali capaci di intercettare chi è più lontano e con strumenti idonei al rinnovamento della catechesi e dei linguaggi dell’annuncio.
La relazione con Cristo ci chiama a sviluppare un’attenzione pastorale sul tema della pace. Il Signore, infatti, ci invia al mondo a portare il suo stesso dono: “La pace sia con voi!”, e a diventarne artigiani nei luoghi della vita quotidiana. Penso alle parrocchie, ai quartieri, alle aree interne del Paese, alle periferie urbane ed esistenziali. Lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili e il conflitto prende forma, magari in modo sottile, deve farsi visibile una Chiesa capace di riconciliazione. L’apostolo Paolo ci esorta così: «Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,18); è un invito che affida a ciascuno una porzione concreta di responsabilità. Auspico, allora, che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa.
Ci sono poi le sfide che interpellano il rispetto per la dignità della persona umana. L’intelligenza artificiale, le biotecnologie, l’economia dei dati e i social media stanno trasformando profondamente la nostra percezione e la nostra esperienza della vita. In questo scenario, la dignità dell’umano rischia di venire appiattita o dimenticata, sostituita da funzioni, automatismi, simulazioni. Ma la persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero. Mi permetto allora di esprimere un auspicio: che il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata.
Raccomando, in particolare, di coltivare la cultura del dialogo. È bello che tutte le realtà ecclesiali – parrocchie, associazioni e movimenti – siano spazi di ascolto intergenerazionale, di confronto con mondi diversi, di cura delle parole e delle relazioni. Perché solo dove c’è ascolto può nascere comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile. Vi incoraggio a continuare su questa strada!
Annuncio del Vangelo, pace, dignità umana, dialogo: sono queste le coordinate attraverso cui potrete essere Chiesa che incarna il Vangelo ed è segno del Regno di Dio.
In conclusione, vorrei lasciarvi alcune esortazioni per il prossimo futuro. In primo luogo: andate avanti nell’unità, specialmente pensando al Cammino sinodale. Il Signore – scrive Sant’Agostino – «per mantenere ben compaginato e in pace il suo corpo, così apostrofa la Chiesa per bocca dell’Apostolo: Non può dire l’occhio alla mano: non ho bisogno di te; o similmente la testa ai piedi: non ho bisogno di voi. Se il corpo fosse tutto occhio, dove l’udito? Se il corpo fosse tutto udito, dove l’odorato?» (Esposizione sul Salmo 130, 6). Restate uniti e non difendetevi dalle provocazioni dello Spirito. La sinodalità diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire.
In secondo luogo, guardate al domani con serenità e non abbiate timore di scelte coraggiose! Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri. Nessuno potrà impedirvi di annunciare il Vangelo, ed è il Vangelo che siamo inviati a portare, perché è di questo che tutti, noi per primi, abbiamo bisogno per vivere bene ed essere felici.
Abbiate cura che i fedeli laici, nutriti della Parola di Dio e formati nella dottrina sociale della Chiesa, siano protagonisti dell’evangelizzazione nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, negli ambienti sociali e culturali, nell’economia, nella politica.
Carissimi, camminiamo insieme, con la gioia nel cuore e il canto sulle labbra. Dio è più grande delle nostre mediocrità: lasciamoci attirare da Lui! Confidiamo nella sua provvidenza. Vi affido tutti alla protezione di Maria Santissima: la Madonna di Loreto, di Pompei e di innumerevoli santuari che costellano l’Italia. E vi accompagno con la mia benedizione. Grazie!